ITALIA: la crisi delle aziende anticipa la fine dello Stato sociale

Prendo spunto da quanto detto dal noto giornalista Piero Angela sul coronavirus, “il difficile sarà scegliere tra la salute e l’economia”. In realtà la classe politica italiana ha già scelto sacrificando l’economia ad una esasperazione del principio di precauzione, bloccando, primo paese al mondo, il traffico aereo, e consentendo i c.d. rientri attraverso le triangolazioni senza controllo: da quel momento il nostro Paese si è trasformato dal Paese della “bellezza” al Paese degli “untori”.

Ma quali sono gli effetti sul sistema produttivo del Paese? Come si sta comportando la classe politica?

Per spiegare meglio la situazione introduciamo dei principi che si trovano nella statica delle costruzioni, e quindi proviamo a considerare l’Italia come un grande ponte che poggia su dei pilastri.

I pilastri sono il ceto produttivo del paese, con le milioni di piccole e medie imprese e le grandi aziende, l’impalcato, che è la struttura orizzontale, rappresenta lo Stato sociale (scuola, sanità, difesa, assistenza, pensioni, dipendenti pubblici etc), infine i progettisti ed addetti alla manutenzione che sono i politici e gli amministratori.

Ora partiamo dalla circostanza che già prima del fenomeno del coronavirus il nostro ponte poggiava su pilastri molto sottili (imprese indebolite per eccesso di tassazione e burocrazia), con il record di persone attive in percentuale rispetto alla popolazione tra le più basse al mondo; dopo la diffusione del coronavirus, il rischio, o meglio la quasi certezza, di imposione potrebbe far crollare l’impalcato su cui si poggia l’intero Stato sociale.

In questo quadro nefasto cosa potrebbero fare i direttori dei cantieri (i politici) per evitare la catastrofe e che non stanno facendo?

In primis evitare quello che è stato fatto nel post terremoto, ovvero evitare le c.d. procedure autorizzatorie dei sostegni alle imprese e favorire invece agevolazioni dirette come crediti di imposta, garanzie, tutela di lavoratori e dei salari in continuità alle imprese, cassa integrazione in deroga, commissariamento delle opere pubbliche in deroga al codice degli appalti, spesa pubblica per la sistemazione del territorio, rinvii degli adempimenti fiscali e previdenziali, no tax area zone rosse, sospensione mutui e leasing.

Se tutto ciò non si farà nel breve immettendo nel sistema almeno 50 miliardi di investimenti, sarà tutto inutile, perché l’effetto è quello di un sistema di fallimenti a catena.

Nessuno potrà sentirsi al riparo, neppure gli stipendi del pubblico impiego, le pensioni e gli stipendi degli stessi parlamentari, in quanto appartenenti a quell’impalcato che poggia su pilastri di imprese ormai esauste.

Nella storia recente abbiamo già visto cadere grandi ponti, con conseguenze drammatiche, cerchiamo di non trasformare questo paese in uno di quei ponti, le conseguenze le abbiamo già davanti agli occhi.

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